IL CULTO MICAELICO nella GROTTA DEI SANTI e delle FORNELLE di CALVI
Il culto micaelico si diffonde in Italia con l'arrivo dei Longobardi che, dopo la conversione al cristianesimo, eleggono l'arcangelo guerriero Michele a proprio santo protettore. Michele è anche psicopompo (guida delle anime), poiché viene spesso raffigurato con una bilancia recante su ciascun piatto un'anima, rappresentata come una minuscola figura umana L'altro modello iconografico, spesso associato al precedente, è quello che lo rappresenta con una lancia nell'atto di uccidere il drago simbolo del male. Il culto micaelico privilegiò i siti posti in luoghi elevati o in grotte, spesso già sede di antichissimi culti delle acque.
Nella Grotta dei Santi, posta sulla riva sinistra del Rio dei Lanzi a breve distanza dall'acropoli calena, San Michele è raffigurato, seguendo canoni iconografici antichi, come un giovane vestito con una clamide. L'affresco si trova nell'abside, dove troviamo la Majestas tra gli Arcangeli Gabriele e Michele. Ancora lungo la valle del Rio dei Lanzi, qualche chilometro più a sud, troviamo l'altra grotta affrescata, quella delle Fornelle, che appare come un ambiente di forma trapezoidale ricavato in una falda tufacea, rettificato ed ampliato per essere utilizzato come insediamento cimiteriale.
Qui, nella cappella laterale, è raffigurato un San Michele vestito di una ricca clamide perlinata alla maniera bizantina, secondo canoni imitanti quelli adottati negli affreschi della vicina basilica di Sant'Angelo in Formis, presso Capua. La decorazione pittorica che ricopriva tutte le pareti della grotta può essere datata tra l'XI ed il XIII secolo. Anche la tipologia della Grotta dei Santi rispecchia insediamenti dello stesso tipo della Grotta delle Fornelle. In età medioevale venne, poi, utilizzata a scopo di culto, inserendosi in un circuito che coinvolge tutto il territorio che va da Santa Maria in Grotta a Rongolise (frazione di Sessa) ad una serie di insediamenti nell'area sessana (Fasani, Lauro), fino alle grotte di culto michaelico di Liberi, Sant'Angelo d'Alife, Gioia e Faicchio.
La GROTTA DEI SANTI
Circa quaranta anni fa, una studiosa elvetica scriveva che "Tra tutti gli edifici religiosi rupestri della Campania la Grotta dei Santi è quello più conosciuto". Oggi, purtroppo, dobbiamo dire che in realtà è tra quelli più danneggiati e completamente abbandonato ad un sempre più rapido degrado. La grotta si trova a breve distanza dall'acropoli di Cales, dove tra il IX e l'XI secolo furono edificati il castello e la cattedrale.
Essa è raggiungibile costeggiando la riva sinistra del rio dei Lanzi e forse rappresenta l'ampliamento ed il rimodellamento di una cavità naturale a scopo di culto, così come si ritrova un pò su tutto il territorio dell'alto casertano. Un filo comune, infatti, sembra legare le varie grotte rupestri affrescate tra il X ed il XIII secolo: innanzitutto, il culto micaelico, di cui una delle prime rappresentazioni iconografiche in terra casertana è propria quella calena, sul luogo di antichi insediamenti precristiani, dove grotte e sorgenti erano legate a culti delle acque fin dall'età del bronzo. Ad esempio, nella vicina S. Maria in Grotta a Rongolise ( fraz. di Sessa Aurunca), che rappresenta un insediamento rupestre di età precristiana, non a caso costruito intorno ad una fonte, Vi e raffigurato un San Michele di splendida fattura.
Le rappresentazioni dell'arcangelo guerriero sono tipiche dell'ambiente longobardo e, va notato, nella Grotta dei Santi viene raffigurato ben tre volte. A differenza di altri Siti analoghi, tuttavia, la disposizione e la tipologia iconografica degli affreschi della Grotta dei Santi non rispecchiano un programma unitario; si tratta, insomma, di semplici scene dedicatorie, fatte dipingere dalla pietà dei fedeli, con la classica dedica " ego... cum uxore mea pingere fecimus ". Tra i soggetti affrescati, oltre al San Michele ed alla Madonna, quest'ultima rappresentata come " Maria Regina " in trono con il Bambino, particolarmente interessante risulta il miracolo di San Silvestro, con il santo che respinge nell'antro il dragone infernale, simbolo dell'idolatria. Teorie di Santi riempiono gran parte delle pareti laterali, mentre nell'abside troviamo la rappresentazione di Cristo tra due arcangeli. In definitiva, si può dire che questi dipinti si rifanno al più evoluto linguaggio bizantino della regione, di cui l'esempio più completo e notevole è quello degli affreschi di S. Angelo in Formis.
L'opera distruttrice del tempo e quella ancora più deleteria degli uomini hanno ridotti ad allucinati fantasmi e moncherini i volti e corpi di queste antiche divinità che la fede dei nostri progenitori aveva voluto rappresentare in quello che rimane comunque un luogo ancora adesso carico di una straordinaria suggestione.